Una messa nella chiesa madre di San Marco in Lamis e il raccoglimento attorno alla stele commemorativa sul luogo del delitto, presso la vecchia stazione del comune garganico. Queste le celebrazioni nel quinto anniversario dalla morte dei fratelli Luciani, agricoltori vittime innocenti di mafia, rimasti uccisi nell’agguato al boss Mario Luciano Romito mentre si recavano al lavoro.
Ieri mattina, a San Marco, si è raccolto tutto il mondo delle istituzioni e dell’associazionismo locali. Vescovo; procuratore capo della Repubblica di Foggia; questore; comandanti di carabinieri e guardia di finanza; sindaci di San Marco in Lamis, Apricena, San Nicandro Garganico, Manfredonia, Mattinata; il presidente del Parco nazionale del Gargano; il direttore della Coldiretti Foggia; i riferimenti nazionali e i rappresentanti locali di Libera e del Fai (l’associazione antiracket intestata proprio ad Aurelio e Luigi Luciani); il vice presidente della Regione Puglia; alcuni parlamentari del territorio, tre cui l’onorevole Maria Luisa Faro.
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Tutti insieme, circondati da una folta partecipazione popolare, per onorare il ricordo delle vittime e non rendere vano il loro sacrificio attraverso la testimonianza e la promessa di un impegno continuo, profuso nel nome del contrasto alla criminalità organizzata. A giudicare, però, dai risultati del rapporto di Libera sulla percezione territoriale della legalità, le istituzioni dovranno lavorare ancora molto. Ma manca anche quello scatto in più della comunità civile affinché la partita contro la Società foggiana e la mafia garganica possa dirsi vinta.
Nel frattempo le vedove Luciani continuano ad esporsi pubblicamente, nella partita dell’antimafia sociale, per risvegliare le coscienze. E nonostante i continui atti intimidatori nei loro confronti, l’ultimo dei quali giunto a giugno scorso con il rogo doloso che ha incendiato 10 ettari di terreno di proprietà della famiglia. E se don Luigi Ciotti ha lanciato un monito forte alla politica, sollecitando politiche sociali più giuste come strumento importante per debellare il fenomeno mafioso, l’assessora regionale al Welfare, Rosa Barone, attraverso una nota stampa, ha assicurato di essere quotidianamente al lavoro affinché i fratelli Luciani e il messaggio che la loro morte porta con sé non siano dimenticati.
E le “conclusioni che non concludono…” del rapporto - presentato dal presidio provinciale di Libera contro le Mafie - sulla percezione territoriale della legalità sono le seguenti: San Marco in Lamis non è percepita come una “città legale”; la comunità civile ha una chiara percezione di alcuni problemi, sebbene manchi una piena consapevolezza dell’importanza di educazione e formazione; vi è una mancanza di dialogo tra le istituzioni, tra cui l’amministrazione comunale, e i cittadini (problematica sollevata per lo più dai giovani); più della metà degli intervistati ha dichiarato di non conoscere esempi positivi di contrasto alle mafie nella provincia di Foggia. Dato, quest’ultimo, che si acuisce tra i ragazzi, l’85% dei quali ignora l’esistenza di figure locali a mo’ di punti di riferimento per la lotta alla criminalità organizzata.
Sono, dunque, per certi versi, impietose le risultanze del questionario somministrato al territorio da Libera contro le Mafie.
Un questionario cui hanno dato risposta 344 persone (235 delle quali residenti a San Marco in Lamis) di età compresa tra i 14 e i 74 anni. Le donne, con il 63% di partecipanti, sono risultate essere il campione più rappresentativo del sondaggio, che ha contemplato, inoltre, l’adesione di 97 giovani di età compresa tra i 14 e i 30 anni.
Il sondaggio - raccontato a margine della celebrazione religiosa svoltasi in occasione del quinto anniversario dalla strage di San Marco – è stato strutturato, attraverso domande a risposta aperta e chiusa, su quattro direttrici tematiche: “La legalità nella nostra città e nel nostro Paese”; “Le mafie”; “Il 9 agosto 2017”; “Domande finali”. “Abbiamo cercato di far parlare la nostra città attraverso un modo semplice per raggiungere tutti i cittadini – ha raccontato il referente territoriale di Libera chiamato a sviscerare i risultati del test davanti alla platea presente in chiesa -. Il questionario è stato diffuso via social e testate giornalistiche locali”.
Nel dettaglio, il report ha mostrato la scarsa percezione di legalità avvertita dai sammarchesi nel proprio paese, nel momento in cui il 70% dei cittadini hanno attribuito voti sulla questione che vanno dal 5 in giù. “O davvero siamo in un contesto non legale – ha commentato il relatore – oppure è necessario che gli sforzi compiuti in tema di contrasto alla criminalità organizzata siano veicolati più efficacemente affinché siano davvero avvertiti dalla popolazione”. Durante la relazione ci si è inoltre soffermati su un altro passaggio significativo: “Tra i ‘10 motivi di ostacolo alla legalità’ proposti dal questionario una delle opzioni con il minor numero di preferenze è stata la voce ‘Mancanza di formazione sul tema’, il che deve far riflettere perché a nostro avviso – ha detto il rappresentante di Libera – quella voce indica uno strumento importante per risollevare le sorti del territorio”. Inoltre, quel 75% di giovani (su un dato complessivo stimato al 31,7%) che invece hanno attribuito l’assenza di dialogo tra i cittadini e l’amministrazione comunale come componente ostativa al percorso di affermazione della legalità: dato, questo, per certi versi, ancor più eloquente, “su cui bisognerà lavorare”, è stato così imbeccato anche il sindaco Merla. Riflessioni e attribuzioni di responsabilità da cui Libera contro le Mafie non si ritiene esente. “I messaggi positivi e gli esempi virtuosi che non si riescono a trasmettere alla cittadinanza si configurano come un problema da cui la nostra associazione deve ripartire”, è stato sottolineato in conclusione. Il bilancio evidentemente negativo che emerge dal report di Libera ha suscitato anche il commento di don Luigi Ciotti, che, sul punto, durante il suo lungo intervento a tutto tondo, si è espresso così: “Si tratta di dati inquietanti che devono indurre a un ripensamento sul modo vivere e di abitare questa terra”.
“Lo Stato ha dato alcune risposte ma non basta”. E’ invece l’incipit della sintesi riportata alla stampa da don Luigi Ciotti in merito al lungo intervento effettuato dopo la messa in memoria dei fratelli Luciani. “Sul territorio - ha precisato il presidente di Libera - si percepisce ancora troppa indifferenza. Da questi luoghi deve arrivare un messaggio forte al Paese: siamo passati dal ‘crimine organizzato’ al ‘crimine normalizzato’, processo cui contribuiscono tanti epifenomeni come la droga, l’usura, il gioco d’azzardo. Tutti fattori che alimentano gli affari della mafia. Se la politica - questo il monito di Ciotti - non dà risposte concrete ai bisogni socio-culturali del Paese, ad esempio, con politiche sociali più giuste ed efficaci, allora si rende criminogena. Perché non affronta i veri nodi: siamo sempre schiacciati sulle emergenze ma non si va mai alla radice dei problemi. Sono 160 anni - sottolinea il prelato - che parliamo di mafia, ciò la dice lunga”.
Zone Transition
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“Certo, la memoria è importante: proprio oggi (ieri, ndr) in Italia si ricorda il magistrato Antonino Scopelliti, anche lui ammazzato dalla mafia. Domani (oggi, ndr) sarò a Napoli per ricordare due semplici ragazzi che nel periodo in cui preparavano la partenza per le vacanze furono uccisi per errore dalla camorra. Il Paese - ha commentato il presidente di Libera - deve interrogarsi: nell’agenda politica il problema delle mafie è stato menzionato in questi giorni? Non mi pare. Allora dico che bisogna mettere in ‘quarantena permanente’ parole abusate come ‘legalità’ e ‘antimafia’. Bisogna rivisitarle, perché per qualcuno sono diventate solo carte d’identità per gli eventi cui si partecipa. Cosa vuol dire essere per la legalità se poi non ci si impegna, non si lotta, non ci si rigenera? Oggi ho augurato a tutti di ‘morire’ per risorgere da certi schemi che ci hanno accompagnato negli anni a che hanno frenato lo sviluppo del territorio”, ha concluso don Luigi Ciotti.