Dopo quasi 4 anni dalla denuncia e almeno 2 di indagini, il Pm ha chiesto l’archiviazione per un presunto caso di caporalato, portato all’attenzione della magistratura da Brahim Ikhoumch e Boujema J’mal, entrambi originari del Marocco che a gennaio 2020 si sono recati presso la tenenza della Guardia di Finanza di Lucera per denunciare i loro datori di lavoro. Nell’iter giudiziario sono seguiti dall’avvocato Giovanni Marseglia di Foggia. Sono proprio i protagonisti della vicenda a raccontare a l’Attacco quello che è accaduto.
“L'indagine nasce da una denuncia del signor J’mal – ha illustrato il legale - per ciò che riguarda il periodo in cui ha lavorato presso la società cooperativa Adriatica di Lucera, dal giugno 2015 al novembre 2019. Fino a novembre del 2018 percepiva 45 euro per ogni giornata lavorativa, nel 2019 invece la somma è salita a 55 euro. La busta paga però risultava più alta con un importo pari a 1.100 euro. I lavoratori per questo erano costretti a restituire, una volta incassato l'assegno, somme da 80 a 250 euro. Quando i lavoratori si opponevano, venivano minacciati di licenziamento”.
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“E amici come prima”, solevano dire i datori di lavoro le cui conversazioni telefoniche sono state intercettate dalla Guardia di Finanza.
La Adriatica si occupa di allevamento di polli in alcuni centri della Capitanata e i due lavoratori erano stati assunti con le mansioni di caricatori notturni di polli custoditi all'interno di apposite gabbie, dai capannoni su autotreni per essere portati al macello.
Il licenziamento alla fine è arrivato, a febbraio del 2019 dopo che J’mal si era rifiutato di adeguarsi alle regole della coop.
Da qui la denuncia, da cui è scaturita l’inchiesta della Procura di Foggia. Come detto le indagini sono durate circa un paio d’anni, anche per il sopraggiungere della pandemia. Le Fiamme Gialle si sono avvalse di ispezioni, intercettazioni telefoniche e appostamenti in particolare nei confronti di Antonio Ignozza di Biccari, presidente della società e dei soci Angelo Buffalo di Lucera e Jamaa Hanani di Casalnuovo Monterotaro e di suo fratello Taher che non compare nella compagine societaria ma si occupava in particolare del pagamento dei lavoratori con la consegna degli assegni a nome della società. Tra gli indagati anche il fratello di Angelo, Jonathan Buffalo che, secondo quanto emerso dalle indagini, avrebbe avuto un ruolo nel reclutamento dei lavoratori e nel coordinamento dei lavori di trasporto dei polli.
L’informativa depositata dalla Guardia di Finanza si conclude con la richiesta di misure cautelari per tutti gli indagati per i “gravi indizi di reato in ordine alle condotte illecite ascritte”.
Centinaia le pagine in cui vengono trascritte le conversazioni telefoniche, che per gli inquirenti sarebbero inequivocabili, rispetto alle continue richieste di restituzione di parte della retribuzione e sul reclutamento dei lavoratori.
Non solo, dopo un’ispezione la Finanza ha rilevato che i lavoratori mantenevano sempre la medesima retribuzione, “tanto che i giorni di ferie eventualmente fruiti sarebbero stati decurtati dalla retribuzione effettivamente percepita – si legge nell’informativa -. Non vi sarebbe dunque alcuna garanzia in caso una eventuale assenza dal lavoro, proprio perché la paga mensile sarebbe esclusivamente calcolata in base ai giorni effettivi di lavoro e non sulla base del contratto stipulato. Quanto alla durata della prestazione, i lavoratori sono costantemente impiegati più delle 4 ore al giorno previste dal contratto, per una media di circa 8 ore e 40 minuti con punte di 13,15 ore giornaliere, nelle attività di caricamento dei polli sugli automezzi, senza alcuna retribuzione aggiuntiva per l'orario di lavoro straordinario. Ulteriori criticità sono state riscontrate, in sede di accesso ispettivo, in merito alla normativa in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Dall'informativa di polizia giudiziaria redatta in tale occasione emerge infatti che i lavoratori “non erano in possesso di dispositivi di protezione individuale (guanti, scarpe, abbigliamento etc.) necessari allo svolgimento delle particolari mansioni cui venivano adibiti, ad eccezione di una mascherina visibilmente vecchia e malandata”. Ecco uno stralcio dell'annotazione: “Singolare l'equipaggiamento che i lavoratori indossavano durante le fasi lavorative, come ad esempio una protezione non conforme ed artigianale per gli arti superiori (sicuramente esposti a rischio per la tipologia di lavoro effettuato) composta, a titolo esemplificativo, da guanti in stoffa ai quali erano cuciti dei vecchi calzini bucati alle estremità (da inserire nelle braccia) che avrebbero dovuto coprire e difendere le braccia da eventuali morsi dei polli. Nessuna protezione per gli arti inferiori (esempio calzature di sicurezza e/o antiscivolo). Con riferimento ai Dpi per gli arti superiori, corre l'obbligo rappresentare che, per una più agevole escussione dei lavoratori, veniva chiesto agli stessi di togliere i guanti e i ‘proteggi-braccia’. Tale operazione permetteva di costatare che sulle braccia e sulle mani erano presenti delle cicatrici provocate dai morsi dei polli. Gli stessi operai dichiaravano, verbalmente ai militari, che sovente capitava di essere morsi dai polli e che per tali ragioni erano stati costretti a ingegnarsi con delle protezioni artigianali. Infine dalle dichiarazioni rese dagli stessi lavoratori emergeva che la Adriatica non forniva ai propri dipendenti alcun Dpi (ad eccezione di una mascherina per prevenire il contagio da Covid-19 che, a causa dell'utilizzo prolungato, era ormai visibilmente vecchia e inidonea all'uso)”.
Gli elementi descritti sono dunque sintomatici di una condizione di lavoro “particolarmente degradante, tenuto conto della posizione di svantaggio dei dipendenti rispetto al datore di lavoro che culminerebbe con dei casi di estorsione in danno degli operai per la restituzione di una parte dello stipendio ai caporali. A ciò va infine aggiunta la circostanza aggravante che il numero dei lavoratori impiegati è superiore a tre”, concludono i finanzieri.
Eppure tutto questo pare non sia bastato al Pm per chiedere il rinvio a giudizio per gli indagati.
“Ci siamo opposti alla richiesta di archiviazione – evidenzia Marseglia -, a nostro avviso ci sono tutti gli elementi perché si parli non solo di estorsione sul posto di lavoro ma anche delle ipotesi di reato di sfruttamento e autoriciclaggio. Andrebbe infatti approfondito ciò che dicono i miei assistiti e cioè che le somme da loro restituite erano reimpiegate per assumere fittiziamente altra manodopera”.
Zone Transition
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“Non può finire così – gli fanno eco i lavoratori -. Abbiamo avuto il coraggio di denunciare, vogliamo avere fiducia nella magistratura ma siamo pronti a gesti eclatanti per avere giustizia”.
Ora si attende la decisione del giudice.