Grande Carro, cade l’aggravante mafiosa per molti indagati (anche per i dirigenti regionali)

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E’ stata rinviata al 17 gennaio 2023 la prima udienza dibattimentale del processo che segue alla maxi operazione Grande Carro, che negli anni scorsi ha portato a decine di arresti, compresi esponenti della malavita foggiana legati alla famiglia Delli Carri. Era prevista lunedì mattina presso il Tribunale di Foggia l’esposizione dell’informativa dei Carabinieri che hanno svolto le indagini ma in quella sede sono state opposte (e rigettate) le eccezioni dei difensori di alcuni indagati sulla utilizzabilità delle intercettazioni. Da qui il rinvio.

Si tratta dell’inchiesta che ha portato in carcere ben 41 soggetti, tra cui alcuni dirigenti regionali dell’assessorato all’agricoltura, tutti con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla truffa alla Regione per l'illecita acquisizione di fondi comunitari riferiti alle programmazioni delle precedenti amministrazioni, 2000/2006 e 2007/2013. Le complesse indagini, che hanno a lungo impegnato la Procura Distrettuale Antimafia di Bari e le varie sezioni del Ros presenti sul territorio nazionale, hanno consentito di documentare l’esistenza ed operatività di una articolazione della batteria attiva a Foggia, Orta Nova, Ascoli Satriano e Cerignola, con interessi su Rimini e l’alta Irpinia, nonché in Bulgaria, Romania e Repubblica Ceca, nonché ruoli e funzioni degli affiliati all’interno della consorteria, rispondente a Francesco Delli Carri, storico esponente della Società foggiana.

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Alcuni degli indagati hanno chiesto il rito abbreviato e per loro sono già scattate a fine luglio le prime condanne, in particolare 16 anni di reclusione a Michele Pelosi e Francesco Delli Carri, quest’ultimo, come detto, considerato uno dei capi dell’organizzazione criminale; 11 anni a Adriano Leone e Cristoforo Aghilar (già recluso con l’accusa di aver ucciso Filomena Bruno, la ex suocera di Orta Nova e noto per essere uno dei fuggiaschi nella maxi evasione dal carcere di Foggia); 9 a Vincenzo Buonavita, 7 anni e 4 mesi a Luciano Cupo, condannata Morena Cono a 7 anni e 4 mesi, Francesco Russo a 6 anni e 8 mesi. Gerardo Pergamo a 3 anni e 2 anni e 8 mesi ad Alessandro Megalotti.

Per tutti gli altri si celebrerà invece il rito ordinario ma ci sono importanti novità. La giudice Maria Teresa Romita, esaminata la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, l’ha accolta per una trentina di persone originariamente coinvolte. Richiesta considerata condivisibile in quanto “pienamente fondata sugli accertamenti operati nel corso delle indagini preliminari e assolutamente immune da vizi logici e giuridici”, scrive la giudice che ha inoltre fatto riferimento “al vaglio delle informative redatte dal Ros CC Bari e Nac CG Salerno e l'assenza di ulteriori elementi di accusa; agli esiti delle valutazioni del giudice della cautela;

alle considerazioni svolte dal Tribunale della Libertà, oltre che l’esame degli elementi forniti da parte di alcuni indagati dopo l'esecuzione della misura cautelare, confrontate con il materiale indiziario posto a base dell'iniziale impianto accusatorio, anche a seguito delle doverose verifiche effettuate sulla base delle deduzioni difensive, non consentono di ritenere molti indagati, indicati nella richiesta, consapevolmente coinvolti nei traffici illeciti architettati da altri”.

E’ stato rilevato inoltre che, in altri casi, per alcuni indagati, come esposto anche in sede di riesame dal Tribunale della Libertà, i reati contestati erano già prescritti. In più è stato ritenuto per il resto “che non sono emersi elementi sufficienti a sostenere l'accusa in giudizio per le ragioni specificate nella richiesta e che, allo stato, non sono ipotizzabili ulteriori temi di investigazione”, ha concluso la giudice. In altre parole, per molti soggetti i capi d’imputazione semplicemente non sussistono, anche perché è venuta meno l’aggravante mafiosa.

Ad esempio il dolo “mafioso” cade se si considera che molti imprenditori erano allo oscuro di essere in affari con esponenti dei clan, visto che le aziende avevano praticamente tutte come rappresentanti legali degli incensurati. Impossibile poter quindi dimostrare che fossero consapevoli di agevolare sodali della criminalità organizzata.
In altri casi invece, come detto, i reati si sono prescritti, trattandosi di fatti avvenuti nel 2013 e 2014. Chiesta l’archiviazione anche per i quattro dirigenti regionali, Cosimo Specchia, Luigi Cianci, Giovanni Bozza e Giovanni Granatiero. Restano invece in piedi le accuse nei confronti di coloro ai quali è contestata ancora l’aggravante mafiosa.

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Il processo dunque continua, anche al netto delle archiviazioni per i reati di falso, abuso e indebita erogazione e percezione di contributi. Anche se molti dei capi di imputazione, anche quelli relativi al 2015 e 2016, sembrerebbero destinati a loro volta alla prescrizione. Difficilmente, a meno che i giudici non riescano a dare un'improvvisa accelerata al procedimento, tra primo grado e appello, il processo non si chiuderà per tempo. Raggiunto telefonicamente da l’Attacco l'avvocato Antonio La Scala, legale di Specchia commenta: “Sin da subito il mio assistito ha contestato fermamente gli addebiti mossigli e ripone piena fiducia nella magistratura giudicante”.

 

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