10 omicidi in poco più di 8 mesi in Capitanata e ragazzi che ammazzano altri ragazzi. Emergenza criminale o educativa

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Che alcuni dei 10 omicidi che in poco più di 8 mesi hanno insanguinato le strade di Capitanata siano da aggiungere al tristissimo elenco di morti legati alla criminalità organizzata, o un più ampio e diffuso problema giovanile condiviso sul piano nazionale (e non solo), è un fatto su cui discutere. Ragazzi che ammazzano ragazzi. Uno sguardo ostile, una parola di troppo, la conquista monopolistica di una giovane donna intesa come preda e pretesa come possedimento personale, bastano ad armare le mani, infuocare le menti, perdere quel lume della ragione che chissà in quali strade si è perso, nei complicati anni della giovinezza.

I recenti episodi di cronaca fanno male a chiunque e interpellano ogni adulto, che sia esso un genitore, un docente, un uomo di fede o di cultura. Andrea Gaeta, ventenne di Orta Nova ammazzato per “futili motivi” forse da un coetaneo per una donna contesa. Francesco Pio Augelli, ucciso a San Severo lo scorso 18 luglio, probabilmente da un sedicenne. La gambizzazione di un pregiudicato 46enne a Manfredonia che si è consumata dentro il Luna Park in seguito ad un litigio che ha visto protagonista un 24enne anch’egli con precedenti, che oltre a ferire i corpi, ha sfregiato simbolicamente le tanto attese giornate di una festa cattolica e secolare, che i sipontini vivono con partecipazione e trasporto profondissimi dal 1872.

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Cronache che tolgono il sonno e fanno tremare le vene dei polsi a chiunque abbia la sventura o la responsabilità di saper vivere al sud. Ma è veramente un fatto solo meridionale? È davvero la dannazione di questa terra, ultima in classifica per qualità della vita, a determinare un inferocimento delle menti più giovani che empatizzano con quei modelli culturali mafiosi così tanto da sposare comportamenti omicidi pur non appartenendo sempre a famiglie criminali? Giovani che si specchiano nella bruttezza di taluni panorami urbani, mal tenuti e malamente custoditi, fino a perdere di vista un orizzonte più ampio che regali loro una prospettiva dinamica e costruttiva, l’unica capace di mettere in moto energie e speranze per un futuro migliore. Si è di fronte ad un’emergenza criminale o educativa? Quale mostro a tre teste sta stringendo i giovanissimi della città e della provincia? E quali sono i primi passi da compiere per mettere un freno a una discesa agli inferi che parrebbe inesorabile?

L’Attacco ne ha discusso con uomini di fede e di cultura.­­­

 

Don Vito: “Vedo fragilità affettiva e onnipotenza sociale”. Rivoltella: “Quella subcultura feroce e maschilista”

Le cronache degli ultimi giorni parlano chiaro. I ragazzi uccidono i ragazzi. Il più delle volte per un nonnulla. Ma come leggere questo dato? Si è davanti ad un’emergenza educativa nazionale, o a un’emanazione della criminalità organizzata locale, che come una cattiva maestra insegna in maniera indiretta, per il solo fatto di esistere e presidiare parte del territorio?

Di fragilità affettiva ed onnipotenza sociale parla don Vito Cecere, guida spirituale della Comunità Emmaus con delega al carcere, che ai dieci omicidi avvenuti in poco più di otto mesi somma i cinque suicidi che si sono consumati nel penitenziario foggiano. Come educatore si sente interpellato dai tragici fatti di cronaca degli ultimi giorni e commenta spiegando che “qui non si tratta più di valutare la qualità della vita, quanto la vita stessa che fa a pugni con la morte”.

Interrogarsi riguardo le mancanze degli adulti è solo il primo passo di una riflessione che si fa urgenza e bisogno di stare accanto ai protagonisti, siano essi vittime o carnefici.

“Si tratta di famiglie che restano sole di fronte a drammi di grandi dimensioni, a cui dobbiamo rispondere con la nostra vicinanza”, afferma a l’Attacco. “Fare clamore soltanto nei giorni che fanno seguito agli eventi non serve a nessuno. Occorre costanza negli interventi e nella attenzione, oltre a ritornare a scommettere sui giovani: ascoltarli, essere incisivi nella relazione, ricordando che quella tra ragazzi e adulti non può e non deve essere una relazione paritaria”.

Don Vito chiede dunque agli adulti di vivere attivamente il proprio ruolo, lasciandosi alle spalle quella sorta di evanescenza a cui si sono consegnati, perché i no aiutano a crescere, anzi, sono fondamentali, spiega. “Ogni cosa ha in sé un potenziale di educabilità”, continua. “Non solo la famiglia, ma anche la scuola, il terzo settore e i luoghi di fede”.

Al centro della sua riflessione, la dimensione relazionale e il senso del limite. Un limite che guarda alla “vecchia” antropologia culturale di Mario Pollo. E che intende come margine “ciò che mi definisce come essere umano, non solo nella fisionomia, ma anche nel saper fare mio ciò che non riuscirei ad accettare. Perché accettare il confine non significa essere passivi, ma definiti”.

Lavorare su quel senso di onnipotenza sociale che spinge ad uccidere quando viene negato “l’oggetto del desiderio”, è uno dei primi gesti da mettere in campo, attraverso l’ascolto, la vicinanza e quelle piccole e grandi frustrazioni necessarie per crescere in modo equilibrato.

L’Attacco ha contattato anche il professor Pier Cesare Rivoltella, docente ordinario alla Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dove ha fondato e dirige il Cremit (Centro di Ricerca sull'Educazione ai Media, all'Innovazione e alla Tecnologia).

“Il territorio di Foggia è difficile”, dichiara Rivoltella, “e credo che questi casi di cronaca riguardino ragazzi che vivono in contesti in cui, probabilmente, la criminalità è l’unico orizzonte del loro progetto di vita, e finiscono per assumere e ripetere modelli di comportamento e quadri di valore - li definisco così tra molte virgolette - che li circondano e che respirano sin da quando sono piccoli. Credo che il tema sia questo, ed è un tema che hanno in comune tutti i contesti in cui c’è criminalità organizzata. Del resto Foggia è una città che io conosco e in cui vengo volentieri poiché collaboro con l’Università”.

E se gli si domanda il senso profondo dei fatti di cronaca nera in cui i giovani protagonisti non sono però assoldati dalla criminalità, ma agiscono spontaneamente, risponde: “È un fatto di educazione. E l’educazione è l’unico strumento. Attraverso l’arte, le iniziative, gli eventi, occorre fare un lavoro importante di controcondizionamento, al fine di sottrarre questi ragazzini a schemi e modelli di comportamento che altrimenti diventano loro e li accompagnano fino all’età adulta”.

“La presenza sul territorio, le attività educative, socio-educative e culturali, credo che siano fondamentali”, continua l’accademico. “Che poi lo sguardo, la gelosia, l’idea del possesso della donna, sono tutti elementi che fanno parte di una subcultura maschilista, violenta ed aggressiva, che probabilmente da questi ragazzi viene respirata”.

Zone Transition

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Rigidissima la posizione dello psichiatra , che parla di pene severissime e necessarie a rimettere ordine nel Foggiano, mentre chiama emergenza educativa a carattere nazionale la situazione che commenta. “Con una classe politica sbandata, ha sbandato anche l’Italia”, spiega. “Per i ragazzi di oggi non esiste più famiglia, né educazione. Gli insegnanti non possono ricordare agli studenti che si deve andare a scuola per studiare, e se lo fanno vengono aggrediti dai genitori. I genitori non fanno più i genitori, sono anche loro sbandati, con le dovute eccezioni, giacché anche nel foggiano ci sono delle splendide realtà. Ma la gentaglia ha vinto sulle persone per bene”.

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