Voce di popolo, mezza verità. La versione che si rincorre tra bar e marciapiedi dei Quartieri Settecenteschi di Foggia, dove abita, in via Nicola Parisi, la famiglia del 21enne Nicola Di Rienzo – ucciso a colpi di arma da fuoco nel pieno pomeriggio di domenica scorsa da un 17enne presso il Parco “Rosa Rosa” di via Saragat - è che i traffici illeciti per cui erano sorti attriti tra i due potrebbero riguardare lo spaccio di droga. E non, invece, i furti, a cui il minore reo confesso ha fatto riferimento nella testimonianza rilasciata in due ore di interrogatorio alla pm Gianna Maria Nanna, dopo essersi recato in Questura, subito dopo il delitto, per costituirsi. Durante l’interrogatorio reso dinanzi agli inquirenti, il giovane ha dichiarato di essersi procurato intenzionalmente l’arma (di cui si sarebbe subito sbarazzato e non ancora trovata dagli investigatori) perché doveva incontrarsi con la vittima con la quale aveva preso accordi diretti per discutere in merito ad alcuni problemi inerenti la gestione dei loro traffici illeciti.
Secondo quanto diramato dalla Questura di Foggia nelle scorse ore, infatti, l’indagato ha raccontato che da giorni la vittima lo minacciava per farsi corrispondere la cifra di 500 euro mensili per poter continuare a svolgere i suoi reati predatori. In sostanza furti e rapine che prima, pare, i due commettessero insieme in città, fino a quando il 17enne avrebbe manifestato la volontà di cambiare rotta. A quel punto Di Rienzo, minacciando il minore e la sua famiglia anche nei giorni precedenti all’omicidio, avrebbe chiesto al 17enne una sorta di pizzo mensile per poter continuare a perseguire i reati predatori in autonomia. Secondo un ragionamento di questo tenore: “O con me, o mi paghi una tassa di 500 euro”.
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Fonti di quartiere de l’Attacco, però, parlano di un’imposizione (“probabilmente Di Rienzo era arrivato a sentirsi un piccolo boss di zona”, dicono) avente ad oggetto un diverso tipo di reato: lo spaccio di sostanze stupefacenti, appunto.
In effetti, la nota della Polizia di Stato ha evidenziato come Di Rienzo avesse all’attivo pregiudizi di polizia non solo per reati contro il patrimonio (fu arrestato con la “banda del buco” per tentato furto, 13 i mesi da lui trascorsi tra carcere e domiciliari), ma anche per spaccio di sostanze stupefacenti. Mentre gli investigatori (a cui, coordinati nelle indagini dalla Procura presso il Tribunale dei Minorenni di Bari, spetterà il compito di verificare la veridicità delle dichiarazioni rese dal 17enne) parlano dell’autore del delitto come di un soggetto “già ben inserito in un contesto dedito alla commissione di reati”.
Secondo opinione condivisa tra le voci ascoltate da l’Attacco nell’area cittadina a cavallo tra Quartieri Settecenteschi e zona Carmine Vecchio di Foggia, lo spaccio di stupefacenti sarebbe il business ormai considerato dalla criminalità locale come il più redditizio. Laddove le estorsioni, in un periodo di grave crisi economica che attanaglia imprese e attività commerciali, starebbe passando in secondo piano perché non porterebbe più ai guadagni del passato. Ciò, almeno, secondo la voce di popolo, appunto.
In effetti, in alcuni dei 6 omicidi registratisi nel capoluogo dauno negli ultimi 11 mesi, come quelli a carattere certamente malavitoso che hanno visto morti ammazzati Alessandro Scopece (alias “Cinghiale”), Roberto Russo e Agostino Corvino (nipote del boss Tolonese), si potrebbe intravedere proprio il traffico di sostanze stupefacenti, a monte di una nuova, possibile guerra di mafia, essendo stati i tre soggetti appena citati coinvolti, nel corso degli anni passati, in maxi operazioni antidroga condotte dalla Squadra Stato sul territorio. Nulla che abbia a che vedere, almeno allo stato di ciò che trapela dalle indagini, con l’omicidio Di Rienzo.
Gli investigatori all’opera, lunedì mattina, nel Parco “Rosa Rosa” (nel frattempo sono state acquisite anche immagini di videosorveglianza presente in quella zona), per cercare la pistola calibro 7,65 utilizzata per il delitto e parte dei bossoli dei proiettili che non era stato possibile rinvenire al buio di domenica sera, hanno riferito a l’Attacco di escludere, al momento, che i due giovanissimi appartenessero ad ambienti di mafia.
Invece, le fonti di quartiere ascoltate sempre da l’Attacco, per alludere ad un taglio sociale tutt’altro che edificante della famiglia del 21enne assassinato, rivelano il soprannome con cui tutti, in zona Carmine Vecchio, conoscerebbero il padre di Nicola Di Rienzo, e cioè “Cor’ e’ C’n” (“Cuore di Cane”).
Mentre Antonio Mendolicchio, priore di una storica confraternita che opera in quei quartieri, sul suo profilo fb, a proposito del delitto Di Rienzo, ha pubblicato a titolo personale un post che, in un passaggio, recita: “L’'omicidio, pur essendo l'ennesimo, rappresenta però uno spartiacque tra la realtà e il racconto. Il racconto di anni e di mesi sulla malavita foggiana e del suo potere definito ‘quarta mafia’. I fatti, che emorgono dall'inchiesta tutt'ora in corso, ci dicono, invece, quanto sia fragile il tessuto organizzativo della malavita foggiana”. Il procuratore Vaccaro, nelle scorse ore, sollecitato dalla stampa, ha detto: “Purtroppo a Foggia si continua ad uccidere nonostante la criminalità locale abbia subito un bel colpo. Ma continua ad essere violenta ed aggressiva. Sono certo, però, che questa criminalità non si evolve e potrà presto essere sconfitta”.
Zone Transition
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E’ attesa, infine, per la giornata di oggi, l’udienza di convalida del fermo del 17enne autore del delitto, nel frattempo trasferito presso il carcere per minori “Fornelli” di Bari.