Mafia senza nome, stessa analisi dei procuratori Gratteri e Vaccaro

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Non era mai successo prima, che a Manfredonia si parlasse di mafia. La Chiesa, con l’arrivo di padre Franco Moscone, è stata la sola a cimentarsi con la discussione.

Ha aperto spazi di dialogo e ha raccolto la partecipazione di una parte della comunità sipontina.

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Ma quello che si è visto domenica sera, al teatro comunale ‘Lucio Dalla’, è stato profondamente diverso.
Né meglio e né peggio. Diverso.

La differenza è tutta nelle persone intervenute.
Nicola Gratteri e Ludovico Vaccaro sono uomini che rappresentano le istituzioni e sono protagonisti ‘sul campo’. Vivono ogni giorno le difficoltà rappresentate da norme inadeguate e dall’assenza della collaborazione di chi dovrebbe essere vera protagonista: la comunità cittadina. Quella stessa che è convenuta piuttosto numerosa per ascoltarli e farsi ambasciatrice dei messaggi lanciati, che è stata accolta dal “grazie a chi ha avuto il coraggio di esserci” proferito da Giulia Fresca, ma anche quella stessa la cui età media era piuttosto elevata.

Pochi davvero i giovani presenti e non è dolo della consigliera comunale Fresca, che ha organizzato l’incontro, quanto piuttosto di un atteggiamento diffuso in loco.
Il “che me ne frega a me” che il candidato Sindaco Tommaso Rinaldi, tra gli intervenuti, aveva stigmatizzato durante la sua campagna elettorale è il vessillo di tanti giovani, purtroppo.

Il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Gratteri, non ha perso tempo e lo ha detto senza giri di parole: “La ‘ndrangheta è stata colpevolmente sottovalutata per decenni dalla Magistratura, dalle Forze dell’Ordine, dai giornalisti, dagli storici, dagli uomini di cultura”.
E Vaccaro, procuratore della Repubblica di Foggia, annuiva convintamente. Non ha potuto fare a meno di annotare come “è esattamente quello che è avvenuto e sta ancora accadendo con la mafia foggiana”. Ha poi fatto notare che “si tratta di una mafia che non ha ancora un nome. Continuano a chiamarla ‘quarta mafia’, visto che non è camorra, non è cosa nostra e non è ‘ndrangheta”. Ciò, a suo avviso, deriva dal fatto che “quando le organizzazioni criminali si affermano in un territorio, la prima cosa è negarla, non riconoscerla subito. E questo ritardo arreca danni enormi”.

Sul palco del ‘Dalla’ era presente anche il coautore con Gratteri di ‘Complici e colpevoli’, lo storico delle organizzazioni criminali e scrittore Antonio Nicaso. “Si usa chiamarla ‘quarta mafia’ - ha detto - ma questa stessa definizione era stata usata per la Sacra Corona Unita. Chi la chiama ‘Società foggiana’ e chi ‘mafia garganica’. Anche se pare non avere riti d’iniziazione, a me ricorda molto la ‘ndrangheta: è un’organizzazione prevalentemente familistica, basata sul vincolo di sangue. E me la ricorda per la sottovalutazione di cui entrambe hanno goduto”.

La sottovalutazione: elemento comune a tutte le disamine fatte dai relatori. La ‘ndrangheta era vista come “un’organizzazione marginale – ha aggiunto Nicaso -, fatta da pastori, da sequestratori di persona. Ma non aveva lo stesso riconoscimento e attenzione che lo Stato aveva dedicato a cosa nostra o alla camorra”.

La serata è trascorsa in modo dissimile da quelle durante le quali si svolgono presentazioni di libri. E’ stata, invece, una serata nell’ascolto “delle esperienze di vite vissute e della narrazione di anni ed anni di lotta”, ha osservato Fresca.

Le parole del procuratore Gratteri sembravano riferite alla realtà della Capitanata, per la perfetta aderenza con questo contesto territoriale. “Gli ‘ndranghedisti si sono seduti a tavola con il mondo delle professioni – ha raccontato -, con i funzionari pubblici, con uomini delle Forze dell’Ordine e, secondo alcuni collaboratori di giustizia, anche con alcuni magistrati. Una mafia che cogestisce la cosa pubblica, dal momento che discute alla pari con la classe dirigente non su chi debba vincere un appalto, ma sull’opportunità di costruire una determinata opera pubblica e dove”.

Una mafia che viene associata ai tentacoli del polpo, vista la sua capacità di penetrazione, ma che tuttavia ha più le sembianze di un camaleonte. Così l’ha descritta Giulia Fresca e così la considera il procuratore Vaccaro, “perché si sa mimetizzare, sa apparire come qualcosa che non preoccupa più”.

Uno dei pochi passaggi letti del libro ‘Complici e colpevoli’ riporta il dato di un rilevamento sondaggistico. Si chiedeva quanto fosse diffusa, nella zona degli intervistati, la criminalità organizzata. Solo il 3,9% risponde “molto” e il 14,8% “abbastanza”, mentre il 49,6% dice “poco” e il 27,9% risponde “per niente”.

L’avvocato Vincenzo Muscatiello, ordinario di Diritto penale all’Università di Bari, ha rilevato che “nessuno dei Comuni sciolti per mafia riconosce la presenza della mafia. Anche qui, nella nostra città, ho sentito che il Comune non meritava lo scioglimento per mafia. Una delle barriere che dovremmo utilizzare è quella dell’esattezza del linguaggio – la sua osservazione -. La lotta alla mafia passa anche attraverso la cura del linguaggio che si utilizza”.

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Non esiste una ricetta magica, però Vaccaro pensa che sia di fondamentale importanza “studiare, leggere, conoscere. Perché la conoscenza crea consapevolezza e la sottovalutazione del fenomeno mafioso in Capitanata è stata determinata soprattutto dalla mancanza di consapevolezza del fenomeno mafioso”.

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