Decisamente non è un bel periodo per la Prefettura di Foggia, in attesa da settimane della nomina del successore di Carmine Esposito andato in pensione dopo nemmeno due anni nel capoluogo daunio. L’UTG di Corso Garibaldi da anni ha nel mirino la famiglia Romito di Manfredonia, convinta – così come le forze di polizia – che sia ancora parte del clan del Golfo, rimodulatosi negli ultimi anni in clan Romito-Ricucci-Lombardi-La Torre.
Gli ultimi mesi a Foggia del prefetto Carmine Esposito hanno registrato due forti scontri: il primo col sindaco sipontino Gianni Rotice per la mancata demolizione del ristorante sulla scogliera “Guarda che luna” di Michele Romito (fratello del boss Mario Luciano, ucciso nella strage di mafia del 9 agosto 2017); il secondo con il Tribunale della prevenzione di Bari sul caso del lido-ristorante Bagni Bonobo di Siponto. Per entrambe le imprese – Bar Centrale sas e Biessemme – la Prefettura ha adottato interdittive antimafia e la riconfermata interdittiva di aprile per Bagni Bonobo (4 anni e 3 prefetti dopo la prima) è stata causa di un clamoroso sfogo pubblico contro l’UTG da parte della giudice Giulia Romanazzi (presidente di sezione misure di prevenzione Tribunale di Bari), che rispetto al controllo giudiziario su Biessemme è stata giudice delegato al procedimento e che stava per decidere sulla fine della misura quando Esposito ha tirato fuori il nuovo cartellino rosso contro l’impresa.
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Ma venerdì è stata pubblicata la sentenza con cui il TAR Puglia ha annullato l’interdittiva riguardante Bagni Bonobo. Si attendeva dal 21 giugno, data dell’udienza, di sapere quale sarebbe stata la decisione del giudice amministrativo. Francesco Romito, titolare di Biessemme coi soci Antonio Conoscitore e Pasquale Emanuele Capuano, ha potuto esultare: “Abbiamo sempre avuto totale fiducia nella magistratura, certi che il nostro operato fosse improntato al rispetto della legge. Ci abbiamo creduto quando nel 2018 la Prefettura di Foggia adottò un’interdittiva antimafia nei confronti del lido Bagni Bonobo. Ci abbiamo creduto quando il Tribunale della Prevenzione ci ammise al controllo giudiziario, quando abbiamo richiesto la presenza per due anni di un amministratore nominato dal giudice, al fine di poter dimostrare la nostra assoluta estraneità a contesti caratterizzati da dinamiche assai lontane dai nostri valori. Ci abbiamo creduto ancora di più quando anche all’esito del controllo giudiziario valutato positivamente sia dal tribunale della prevenzione che dal pubblico ministero, ad aprile di quest’anno la Prefettura ha confermato l’interdittiva antimafia.
Il TAR Puglia dà atto che nel provvedimento del prefetto “non c’è traccia della considerazione di circostanze che ha ritenuto indizianti di un’attuale prognosi di pericolo di permeabilità mafiosa”, che le verifiche delle forze dell’ordine “non contengono elementi di valutazione delle circostanze attuali alla luce dell’attività di controllo posta in essere dall’amministratore giudiziario”, che “difetta il necessario supporto istruttorio che deve sfociare in una idonea motivazione” e che l’atto della Prefettura è da censurare per “la violazione delle garanzie partecipative”.
Ha annullato l’interdittiva perché “illegittima per difetto ed erronea istruttoria e carenza di motivazione” dando atto che quella regola del “più probabile che non” dell’autorità prefettizia deve cedere quando “ogni oltre ragionevole dubbio” viene accertato che “non vi sono stati mai segnali e/o circostanze che abbiano potuto far presumere che la società abbia operato in un contesto diverso da quello legale”. Grazie a tutti i nostri amici e clienti che in questi 4 anni hanno sempre continuato a credere in noi: oggi è uno dei giorni più belli della nostra vita! La verità è meravigliosa!”.
La sentenza è firmata dalla presidente facente funzioni della seconda Sezione Rita Tricarico, Alfredo Giuseppe Allegretta e Donatella Testini. I giudici si soffermano sul rapporto tra controllo giudiziario a domanda, conclusosi favorevolmente per Biessemme, e valutazioni successive del Prefetto ai fini dell’aggiornamento dell’interdittiva antimafia. “Del contenuto delle relazioni dell’amministratore giudiziario, la Prefettura ha preso in considerazione solo le conclusioni: “Non vi sono mai stati segnali e/o circostanze che abbiano potuto far presumere che la società abbia operato in un contesto diverso da quello legale”. L’Autorità prefettizia, invece, avrebbe dovuto valutare le circostanze fattuali riportate nelle relazioni e darne ragione nella motivazione del provvedimento adottato. L’asserito ruolo di spicco di Michele Romito, padre dell’amministratore unico della società, nel clan è stato la fonte primigenia dell’originaria interdittiva. Tuttavia la Prefettura non ha evidenziato alcun evento accaduto nel corso del controllo giudiziario idoneo ad attualizzare la precedente prognosi infiltrativa, se non le risultanze dell’operazione Omnia Nostra che avrebbero confermato il rilievo criminale di Michele Romito”, si legge nella sentenza.
“Il punto, tuttavia, è che, non solo e non tanto, ad avviso del Collegio, le emergenze documentali non consentono di ritenere “più probabile che non” il ruolo di spicco di Michele Romito, ma soprattutto che la società interdetta non è a conduzione familiare, atteso che la sua compagine comprende, oltre a Francesco Romito, che possiede il 40% del capitale e ne è l’amministratore, altresì Conoscitore e Capuano, con quote del 30% ciascuno, per un totale del 60%, e che non vi è alcun cenno all’intromissione o al benché minimo interesse di Michele Romito all’attività da essa svolta. Ancora: i contatti di Michele Romito gli esponenti del clan prima capeggiato dal fratello Mario Luciano risalgono al 2018 e, dunque, a un periodo precedente il controllo giudiziario. Né può ritenersi circostanza determinante quella relativa alla dichiarazione d’incandidabilità ex art. 143 del T.U.E.L. del socio (ed ex amministratore) Conoscitore. Tale decreto, ancora sub iudice perché impugnato in Cassazione, si riferisce a una condotta omissiva relativa alla mancata richiesta di interdittiva antimafia per una SCIA della società ricorrente, risalente al 2018 e, dunque, sempre a un periodo precedente al controllo. La ricostruzione della Prefettura per cui tale circostanza sarebbe derivata dal metus subito dagli amministratori pubblici in ragione dell’evocazione di colleganza con esponenti della criminalità organizzata avrebbe dovuto essere attualizzata alla luce dell’esito positivo del controllo”.
Zone Transition
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Il TAR conclude: “Resta salvo il potere di rideterminazione - sulla base di idonea istruttoria - che la Prefettura dovrà comunque porre in essere nel contraddittorio, salva l’emersione di successive motivate circostanze di celerità e urgenza”.