Cozze vs vongole, così parte l’inchiesta sul lago di Varano

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Sembra che l’inchiesta giudiziaria Gargano Nostrum che ha scosso il mondo dell’itticoltura garganica, seconda quanto a volumi di produzione solo a quella di Taranto con le sue 13 mila tonnellate annue di mitili, sia stata innescata da una denuncia partita da alcuni pescatori di Lesina, i quali a loro volta avrebbero sofferto negli anni scorsi di una penuria significativa di crostacei.

In quella zona si catturano (non allevano) principalmente vongole e cannolicchi, destinati poi ai mercati ittici ma a quanto sembra di recente i pescatori hanno affrontato periodi di magra, imputando la diminuzione del pescato (e quindi dei ricavi) alla presenza delle plastiche e dei gusci di cozze depositatisi sui fondali, anche se potrebbero esserci altre ragioni che spiegherebbero il fenomeno.

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Uno scenario che dimostrerebbe, una volta di più, quanto sia fragile il sistema economico delle comunità garganiche e quanto gli equilibri possano facilmente rompersi mettendo in crisi decine di famiglie che vivono di queste economie.

E’ il classico gioco della sopravvivenza che innesca quella che ha tutta l’aria di essere una guerra tra poveri. Il timore che ora serpeggia tra gli itticoltori è quello di perdere tutto il lavoro e i sacrifici degli ultimi anni.

L’operazione infatti ha portato al sequestro preventivo di 10 aree demaniali marittime assentite in concessione, per un totale di circa 30 milioni di mq (sono complessivamente 38 in provincia di Foggia, ndr), nonché degli impianti di mitilicoltura ivi presenti, di un’area demaniale marittima occupata abusivamente con un impianto di mitilicoltura e di altre due aree a terra ubicate rispettivamente nei comuni di Lesina e Cagnano Varano, nella disponibilità di soggetti indagati.

Oltre venti indagati, quattordici arresti tra pescatori e presidenti di cooperative, dieci impianti sequestrati: è l’operazione Gargano Nostrum, di Capitaneria di Porto e Procura di Foggia che, contestando i reati di disastro ambientale e combustione illecita di rifiuti, ha “bloccato” la mitilicoltura pugliese di Lesina e Cagnano Varano. Al centro dell’inchiesta 27 tonnellate di materiale plastico (le “retine” usate per le reste delle cozze) e 4 mila tonnellate di gusci di mitili morti dispersi in mare.

Una operazione senza precedenti che ha messo in allarme il settore, come confermato a l’Attacco da Giovanni Schiavone, presidente nazionale dell’Associazione Generale delle Cooperative Italiane, attiva nella tutela del settore della pesca.

“Fermo restando le eventuali responsabilità individuali per comportamenti di cui si sta occupando la magistratura, sul cui operato non si ha ragione di dubitare, anzi si nutrono massimo rispetto e fiducia – ha detto Schiavone, a sua volta produttore -, l’operazione interviene su un problema assai noto, alla cui soluzione si sta già lavorando da anni, quello dell’inquinamento da retine plastiche che durante la lavorazione delle reste di mitili finiscono involontariamente in mare. Convegni, azioni pilota con l’uso di retine di materiale alternativo alla plastica (naturale o biodegradabile), campagne di pulizia dei fondali delle mitilicolture, con collaborazioni tra pescatori ed associazioni ambientaliste si moltiplicano ormai da tempo, mentre la limitazione della caduta in mare di questo materiale ed il conferimento degli scarti a società specializzate nello smaltimento rientrano già nelle prassi operative di un crescente numero di impianti. Quindi c’è un grande impegno dei mitilicoltori nell’affrontare un problema complesso che sicuramente avrebbe richiesto una maggiore attenzione e collaborazione delle istituzioni pubbliche, tante volte sollecitate alla definizione di linee autorizzative imprescindibili e univoche sull’intero territorio nazionale, alla cui stretta osservanza subordinare il rilascio o il mantenimento dei titoli autorizzativi”.

La preoccupazione ora è che un intero comparto nazionale, che produce 58 mila tonnellate annue di prodotto fresco in circa 250 impianti, per un fatturato di oltre 40 milioni di euro e che dà lavoro a circa 2 mila addetti, possa essere bloccato proprio mentre si sta lavorando su più fronti alla mitigazione degli impatti. Un rischio, a detta della Acgi, determinato dal fatto che il tipo di operazione che ha riguardato il Gargano possa coinvolgere altri territori, nei quali si adottano più o meno le stesse tecniche di produzione.

“Non vorremmo che dal ‘disastro ambientale’ si passi al disastro economico e sociale con gravi ripercussioni occupazionali nelle aree vocate del territorio nazionale dove la mitilicoltura costituisce una attività importante legata a lunghe tradizioni – ha aggiunto Schiavone -. Nel caso specifico dell’inchiesta denominata Gargano Nostrum, nell’esprimere la mia solidarietà alle decine di famiglie di mitilicoltori coinvolte, senza nulla togliere alle presunte responsabilità individuali, non posso non avvertire apprensione sugli effetti delle misure cautelari applicate nei confronti di alcuni mitilicoltori, per i quali sembrerebbero non ricorrere, allo stato, i concorrenti necessari presupposti di pericolosità sociale sotto il profilo del rischio di reiterazione del reato, con la conseguenza di privare i relativi nuclei familiari dell’unica fonte di sostentamento familiare. L’inchiesta nasce circa un anno e mezzo fa a seguito di una denuncia di pescatori (vongolari), convinti che la presenza di retine disperse dagli allevamenti di mitili potesse essere causa di inquinamento fino a determinare l’assenza delle vongole lungo la fascia costiera di Lesina e Cagnano Varano. In verità la causa della sparizione di vongole, cosiddetti ‘lupini’, non è mai stata accertata sul piano scientifico e nemmeno addebitabile a questa forma di inquinamento da retine, bensì a fattori ciclici naturali che ne determinano la presenza e la sparizione”.

Significativo in questo senso, evidenzia il presidente, è proprio il ritorno e quindi la presenza di ingenti risorse di vongole, da più di un anno su tutta la fascia costiera da Lesina a Cagnano Varano.

“Del resto, la pratica dell’allevamento dei mitili che avviene nella nostra fascia costiera pugliese è identica a quella che avviene in Molise, in Abruzzo, nelle Marche, in Emilia Romagna, nel Veneto, in Friuli, in Liguria, nella Toscana, nel Lazio, in Campania, in Sicilia e in Sardegna, che producono, infatti, con le stesse modalità di esercizio degli impianti e che potrebbero veicolare analoghi scarti di lavorazione. Sarebbe stato utile, per preservare comunque il settore della mitilicoltura di primaria rilevanza per l’economia della pesca, consultare anche il mondo scientifico ed accademico che da anni lavora per trovare soluzioni alternative alle retine in plastica sinora consentite negli allevamenti di mitili, atteso che i materiali sperimentati, ad oggi, non hanno ancora trovato riscontri fattibili nella pratica di allevamento. Permane, però, la fiducia che la diversa conoscenza delle tecniche di produzione e la relativa applicazione possa essere di aiuto anche agli operatori della costa garganica ed alle loro famiglie segnate dagli ultimi eventi”, ha concluso Schiavone.

Anche l’associazione Produttori Miticoltura Gargano ha manifestato le sue perplessità, ricordando quanto costruito negli ultimi anni insieme a Gac, Regione, Parco del Gargano.

Zone Transition

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“Tutto per dare strumenti agli operatori e indirizzarli verso una gestione responsabile dell'intero bacino produttivo, ammodernare la loro attività, ponendo attenzione alla tutela del mare in un territorio marino protetto da diversi ambiti. Alcune aziende locali hanno avviato partenariati importanti in progetti europei per attivare percorsi virtuosi di riciclaggio e di economia circolare. Le stesse forze di controllo potevano con le altre istituzioni accompagnare il settore in questo ammodernamento. Invece sì è scelta la strada della mortificazione che ora affligge, comprensibilmente, tutti gli operatori che rischia di degenerare in sconforto totale, considerando che la crisi produttiva risale a ben oltre la pandemia e ha già messo in ginocchio quell'economia. È il momento della solidarietà della comunità tutta per rilanciare il prezioso lavoro e la produzione, siamo consapevoli che la qualità ambientale è anche quella necessaria ad ottenere un buon prodotto e dare giusto reddito al lavoro. Chiediamo quindi il dissequestro immediato degli impianti produttivi”.

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